Fake Error Landscapes (2017)
(selezione)
Stampe digitali su carte fotografica fine art montate su dibond.
dim: 70x100cm
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Ho realizzato questa serie fotografica inedita diverso tempo dopo la morte di mia madre e con l’aiuto di mio padre, nel corso dei primi mesi
del 2017. Siamo andati in giro nei dintorni di Brindisi, dove sono nato e cresciuto, ripercorrendo paesaggi familiari, abitazioni
abbandonate teatro di giochi infantili, spiagge e campi. Durante queste sessioni, ho chiesto a mio padre di mantenere davanti
all’obiettivo una serie di diversi oggetti (tutto quel che si vede nel lavoro è stato realizzato in fase di ripresa e non ha alcun tipo di postproduzione
che non sia di routine). Gli oggetti utilizzati provengono dalla casa di famiglia e appartenevano o erano stati utilizzati da
mia madre. L’interazione fra il paesaggio naturale o antropizzato e questi elementi crea un mondo di fantasia in cui passato, presente
e, idealmente, anche il futuro si fondono insieme in un mondo rinnovato e dove lo spazio, come abitualmente lo concepiamo può
essere “sconvolto”. “Fake Error Landscapes” implica una riflessione sul linguaggio fotografico in sé: i modi dell’astrazione e della figurazione
sono messi in un costante dialogo all’interno di una stessa immagine creando effetti di offuscamento, contrasto, giustapposizione,
trasfigurazione o assorbimento reciproco con risultati che possono essere armoniosi e disturbanti allo stesso tempo.
“L’immagine è un
attimo e un paesaggio o un interno, quindi è un tempo e uno spazio netti, precisi fino a un certo punto della fotografia, punto che non
è concettuale, direi che è quasi geografico tanto ne è possibile indicarne le coordinate; poi, si verifica una catastrofe intesa come la
intendono gli scienziati, cioè la rottura di un equilibrio morfologico e strutturale, irrompe qualcosa che occulta il prosieguo “normale”
dell’immagine e non concede a chi guarda la totalità del soggetto e del suo quotidiano senso. Ma a quel punto, nello spazio brevissimo
di uno scatto, l’osservatore ancora una volta è nell’orizzonte logicamente convincente che Castellana gli propone. Che è solo verosimile
ed è una realtà che non è né quella del paesaggio dove il fotografo era, né quella dell’oggetto tenuto da suo padre. È un’altra e, fuori
dal dialogo intessuto dentro la fotografia, non c’è.”
Dal testo critico di
Michela Becchis
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